
Il padre di Arnaldo, Giacomo Canepa, nasce nel 1829 in un’agiata famiglia di Menzogno, nel Canton Ticino in Svizzera. A diciannove anni è già a Roma e a quarantaquattro sposa Maria Giacomini anch’ella originaria di Menzogno. Dal matrimonio di Giacomo e Maria nasce il primogenito Alfredo.
I Canepa vivono in una stretta e tipica via del centro della Roma papalina nei pressi di piazza del Popolo. Giacomo, possidente, è commerciante e si occupa della gestione di una trattoria.
È il 24 settembre del 1882 quando viene alla luce il secondogenito Arnaldo. Viene battezzato nella vicina chiesa di S. Agostino il 9 ottobre successivo. Prende i nomi di Arnaldo, Romolo e Pio.
I coniugi Canepa vanno ad abitare in via XX settembre, all’angolo di via Salandra. Il papà Giacomo, ricco e con possedimenti nel Lazio, decide di investire e apre un ristorante nei pressi dell’abitazione. Nel frattempo altri due figli, Manfredo e Olga, vengono ad allietare la casa.
Arnaldo è piuttosto vivace. È sulle braccia della madre che conosce la devozione a Maria Vergine, la pietà filiale verso il Signore e le prime preghiere. Gli capiterà, avanti con gli anni, di tornare con la mente al ricordo della madre e ripetere con gusto e commozione quelle prime preghiere allora incomprese.
L’attività del padre si è ben avviata e il locale risulta da ampliare. Si spostano, quindi, in via delle Terme di Diocleziano: le aziende agricole di proprietà intorno a Roma forniscono l’occorrente per la cucina e le cantine.
Arnaldo ha 14 anni quando muore il papà Giacomo nel 1896. La madre Maria continua a mandare avanti da sola il ristorante. I figli vengono messi in collegio. Arnaldo per alcuni anni è a Vallerano, presso Viterbo. Qui l’anziano parroco trasmette insegnamenti attraverso un testo scolastico di storia sacra. I racconti, arricchiti da illustrazioni, colpiscono la sua fantasia. Ripete le preghiere del mattino e della sera. Non smetterà mai di recitarle, da allora e per tutta la vita.
Viene poi trasferito in un collegio svizzero del Canton Ticino per qualche tempo. Quindi frequenta il collegio dei padri Scolopi ad Alatri. Infine è ospite del convitto nazionale di Spoleto.
Arnaldo ha vent’anni quando torna a Roma. Si ritrova con coetanei del suo ambiente sociale, lontani dalla pratica religiosa, e dimostra uno spirito piuttosto anticlericale, come gran parte della gioventù del primo Novecento. Comincia a non partecipare più alla S. Messa. Si allontana dagli atti di pietà e dai Sacramenti, verso cui non sente alcun trasporto. La sua vita scorre, come la definirà egli stesso, “stupida e vuota”, piatta e ripetitiva, senza veri ideali che la motivino.

Arnaldo sta spesso fuori casa. Possiede una barca con la quale si diverte. Fuma sigarette di costo. Torna tardi la sera, com’era frequente per un giovanotto dell’epoca ma nei limiti consentiti dalla madre, donna molto severa in fatto di orari. Non ha contatti troppo confidenziali al di fuori della ristretta cerchia familiare: è garbato con tutti ma preferisce rimanere distaccato.
Arnaldo è un bel ragazzo minuto e magro: i suoi occhi scuri profondi ed espressivi colpiscono.
Vive con la madre e i fratelli, da cui è molto stimato. Guida il ristorante di famiglia che mano a mano diventa un punto di riferimento della vita mondana romana e meta di uomini benestanti. Si presenta ai clienti del ristorante come un uomo scherzoso ed arguto. Il suo carattere e la forte personalità esercitano fascino.
Arnaldo è tranquillo, ha un animo sensibile, parla sottovoce ed è sempre sorridente. Esprime lealtà e ama incontrare la stessa lealtà in chi ha di fronte. Alle volte mette alla prova l’interlocutore facendo dell’ironia per studiarne le reazioni.
Pur sprovvisto di titoli di studio, in virtù della formazione e degli interessi personali coltivati, è piuttosto colto. Ama l’arte e ha modo di avvicinare diversi artisti, tra i quali il compositore Pietro Mascagni del quale è un profondo ammiratore. Oltre alla musica, ama la letteratura, il teatro e la storia. Frequenta conferenze e disquisisce su di esse. Legge molto e ama scrivere. Possiede molti libri. Parla correttamente il francese familiare e, da autodidatta, la lingua inglese.
Frequenta anche circoli culturali ed economici nei quali si trova a suo agio. È un ottimo interlocutore. Parla con proprietà di linguaggio e il suo aspetto e i suoi modi di fare lo rendono gradito in tutti gli ambienti, salotti e ritrovi alla moda.
Si interessa anche di politica, influenzato dagli ideali socialisti che serpeggiano all’epoca per ragioni egalitarie. Dirà, in età matura, che persone e ambienti frequentati in quegli anni, lo avevano allontanato dagli insegnamenti materni. Segue gli accadimenti nazionali e internazionali ma nulla lo coinvolge e nulla turba le sue giornate fatte di lavoro e tempo libero.
È commerciante, e uno dei suoi interessi maggiori è giocare in Borsa dove guadagna bene. Si concede qualche diversivo che le condizioni finanziarie della famiglia gli consentono.
Trascorre un periodo di tempo in Francia ed Inghilterra insieme ai fratelli. In quegli anni il fratello Manfredo parte volontario per la guerra, mentre Arnaldo e Alfredo no. I fratelli si sposano tutti, ma Arnaldo non si sente chiamato al matrimonio. La sua vocazione non è quella.
A Roma la situazione politica sta diventando sempre più difficile a causa della nascita del Partito Nazionale Fascista nel 1921.
In questo difficile contesto storico, Canepa sta iniziando il suo cammino di conversione spirituale e nel 5 dicembre del 1920 risulta già iscritto all’Apostolato della Preghiera, una realtà associativa presente in diverse parrocchie italiane.

È un pomeriggio del maggio del 1921 quando Arnaldo, passeggiando per via del Tritone, decide di entrare nella piccola chiesa di Santa Maria Odigitria: alle spalle dell’altare, su di un supporto ligneo ovale, è raffigurata la Vergine Maria con Gesù. Il mese di maggio è tradizionalmente dedicato alla Madonna ed è proprio alla “Signora buona” - come usava chiamarLa Canepa - che Arnaldo deve la sua conversione: “la Madonna non mi disse nulla – confesserà in seguito - ma io capii tutto”.
Non molto distante dalla Chiesa del Tritone, presso i Cappuccini di via Veneto, ha inizio la ricostruzione della vita spirituale di Arnaldo Canepa. Inizia a frequentare con assiduità i frati cappuccini ed entra a far parte del Terzo Ordine francescano composto da laici che intendono consacrarsi al Signore.
Si impegna, quindi, nell’apostolato attivo dando la propria disponibilità al parroco di Santa Maria degli Angeli in piazza Esedra (oggi piazza della Repubblica). C’è in lui un desiderio di testimoniare la fede e lo fa aderendo a tutte le realtà pastorali parrocchiali, senza distinzioni: è catechista, fonda un circolo giovanile, partecipa all’Azione Cattolica e agli Scout, presenzia al Consiglio parrocchiale ed aderisce alla Congregazione mariana presente nella stessa parrocchia. Con i giovani del circolo prende parte alle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, istituite per fini caritatevoli, e non lesina per tali attività generosi contributi economici. In quegli anni entra anche a far parte dell’Arciconfraternita della Dottrina cristiana nella chiesa di Santa Maria del Pianto a Roma.
Apostolato e carità sembrano quindi contrassegnare la spiritualità di Canepa e preparargli la strada al successivo lavoro con i fanciulli. Proprio in quegli anni, infatti, Evangelina Caymari riportava l’attenzione a Roma sull’educazione religiosa dei bambini fondando un corpo di catechiste laiche impegnate nelle parrocchie nella preparazione ai sacramenti dei più piccoli.
Nonostante i molteplici impegni parrocchiali, Canepa non trascura i doveri di famiglia e ha particolare riguardo per la nipotina Anna Maria cui insegna preghiere e catechismo.

Nel 1926 Canepa, insieme ad alcuni confratelli del Terzo Ordine Francescano di via Veneto e giovani della Conferenza di San Vincenzo di Santa Maria degli Angeli, cominciarono a frequentare il periferico e disagiato quartiere romano del quadraro, sorto dopo la prima guerra mondiale. Canepa vi si reca tutti i sabati per assistere le famiglie indigenti. Qui apre un dormitorio per i senzatetto.
È in questo periodo che un gruppo di giovani terziari, guidati dal sacerdote belga don Desiderio Nobels, sentendo il desiderio di fare apostolato tra i bambini, pronuncia una solenne promessa a Maria Vergine (promessa che ancora oggi i soci del Cor professano ogni anno) e decidono di consacrare al Signore tutte le domeniche al servizio dei ragazzi di quella abbandonata periferia romana. Cominciano a prendere contatti con i parroci di Santa Maria del Buon Consiglio al quadraro e della parrocchia di Ss. Marcellino e Pietro ai Due Lauri sulla Casilina che nel vicino quartiere di Centocelle aveva adibito un capannone per il catechismo (dove oggi sorge la chiesa di S. Felice da Cantalice). A Santa Maria del Buon Consiglio i giovani costituiscono un circolo e danno vita a un Oratorio.
Proprio al quadraro avviene l’incontro tra Don Nobels e Canepa. Canepa prende a visitare l’Oratorio tutte le settimane e, specialmente ogni domenica, fa per due volte la spola fra la parrocchia del quadraro e il rudimentale capannone di centocelle. Impiega a tale scopo tutto il tempo che il lavoro gli lascia libero dal momento che continua ad occuparsi della gestione del ristorante, dei rifornimenti e delle tenute agricole. Arnaldo si rende conto che quell’apostolato è il più urgente di tutti, e, come dirà in seguito, a tale opera “dobbiamo tutti noi stessi”. Sta scoprendo la vocazione di catechista.
Presenzia al raduno settimanale e alla preghiera di compieta dei giovani catechisti, apportando il contributo dell’esperienza e aiutando finanzariamente la nascente realtà. Il rapporto tra Arnaldo e il giovane don Desiderio si fa più stretto e fruttuoso. Al ritorno, la domenica sera o alle volte durante la settimana, i due collaboratori si ritrovano a cena al ristorante “Canepa” discutendo dei problemi dell’Oratorio, scambiandosi opinioni a riguardo, confidandosi le reciproche delusioni e riponendo le proprie speranze nel Signore.
In seguito alle pressioni del regime fascista, si è costretti a chiudere l’Oratorio al Quadraro. Don Desiderio va ad operare nella nascente parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice, dove dirige per parecchi anni l’Oratorio “Pio XI” e, successivamente, l’Oratorio di S. Giuseppe all’Arco di Travertino.

Canepa, intanto, continua a presenziare le riunioni dei terziari di via Veneto dove viene eletto presidente dell’associazione il 18 ottobre 1931. In seguito, il parroco del quadraro lo invita a riaprire l’Oratorio. Il numero dei ragazzi aumenta progressivamente e lo spazio non è più sufficiente. Bisogna cercare un altro luogo dove poter celebrare la Messa e fare il catechismo, le attività e i giochi. Delle bambine del quartiere si occupano le suore della Congregazione di Namur; i maschietti invece sono in strada, privi di assistenza. In vicolo degli Angeli (oggi via degli Angeli), vi è una stalla con annesso un orto. Arnaldo chiede al proprietario la stalla per poterla adibire a cappella. Questi acconsente e mette a disposizione lo scantinato e la stalla. Dopo averla ripulita e sistemata, Canepa ne fa una succursale della parrocchia di S. Maria del Buon Consiglio. È lì che nasce il secondo Oratorio del quadraro. La cappella e l’Oratorio vengono intitolati a san Giuseppe. Gli spazi non bastano mai e Arnaldo, in sintonia con il parroco, finanzia la costruzione di un salone coperto vicino alla casa parrocchiale adibendolo a sala conferenze e dotandolo di un palco per le rappresentazioni teatrali. Nel cortile antistante l’edificio si tengono le adunanze dei ragazzi all’aperto e i giochi.
In poco tempo si radunano centinaia di bambini, che vengono tolti letteralmente dalla strada. Canepa riunisce i bambini nel teatro, li istruisce con l’aiuto di una macchina per la proiezione di immagini raccontando loro le storie dei santi dei quali è profondo conoscitore. Tutto il materiale viene da lui finanziato. Dopo la lezione di catechismo fa giocare i piccoli e, alla fine di ogni gara, regala come premio una piccola scaglia di liquirizia. Durante il periodo natalizio organizza delle tombolate e compie la visita dei presepi nelle case del quartiere: l’intento è avvicinare le famiglie lontane dalla Chiesa. D’estate, inoltre, porta i ragazzi in gita fuori porta.
Si accorge, però, dell’incostanza di molti ragazzi a partecipare alla S. Messa rispetto alla frequenza in Oratorio. Prevede quindi, in accordo con il Parroco, alle ore nove una S. Messa domenicale dedicata esclusivamente ai ragazzi e, per agevolarne la partecipazione, fa distribuire prima dell’inizio “biglietti - punto” sulla base dei quali consegna dei premi e, al termine della Messa, offre brioche ai ragazzi e la colazione ai catechisti.
Canepa ama coltivare devozioni nei bambini più disposti. Nomina alcuni ragazzetti “zelatori dell’Apostolato della preghiera” incaricandoli di distribuire i foglietti dell’apostolato ogni mese. Poi nella veste di “crociatini” fanno la riunione di sabato, leggono le intenzioni di preghiera e, nel fine settimana, consegnano le pagelline in cui sono segnati tutti i fioretti, le rinunce, le comunioni e le Messe.
L’attività oratoriana avviene soprattutto il martedì e il giovedì. Il sabato Canepa non rinuncia a recarsi con la “San Vincenzo” a far visita ai poveri del quartiere. La domenica invece c’è sempre. Canepa ha bisogno di collaboratori e l’ausilio dei confratelli terziari si rivela inizialmente fondamentale ma via via inizia a coinvolgere anche gli stessi giovani della parrocchia.
All’apostolato attivo Canepa accompagna un intenso rapporto con il Signore: si leva alle quattro del mattino per pregare; alle sei e mezza serve già la prima Messa come ministrante. Durante il percorso per andare in Oratorio recita uno o più rosari.
Arnaldo, di origini svizzere, inizia ad avere noie dal regime fascista. Dai carabinieri del Quadraro subisce anche un interrogatorio. vogliono capire se l’attività da lui svolta sia in contrasto con l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla.

Nell’aprile del 1941 muore la mamma di Arnaldo; a settembre si sposa la nipote Anna Maria che va a vivere a Napoli. Canepa continua a gestire, insieme ai fratelli, il ristorante con tutte le difficoltà di reperimento dei generi alimentari stante gli ostacoli posti dal regime.
Alcuni suoi collaboratori si adoperano per fargli ottenere un’onoreficenza pontificia e tutti prenderanno a chiamarlo “commendatore” ma Arnaldo non ostenta alcun orgoglio per questo.
L’8 dicembre del 1941 l’assemblea generale delle conferenze della S. Vincenzo approva l’istituzione di una commissione a favore dei fanciulli abbandonati della periferia di Roma, la “Pro-Infanzia”, di cui Canepa diventa Presidente nel 1942.
Nel 1943 i Canepa decidono di vendere il ristorante.
In quegli anni Arnaldo conosce il giovane Ugo Blasetti che, con un gruppo di studenti dell’Azione Cattolica ha cominciato a dirigere un Oratorio vicino a san Pietro. Canepa e Blasetti giungono a maturare un progetto di Opera che, alla diretta dipendenza dell’Autorità Diocesana, svolga un servizio nella Diocesi al fine di promuovere l’Oratorio nelle parrocchie romane, coordinarne le attività, fornire aiuti e sussidi e curare la formazione religiosa e didattica dei catechisti.
La guerra non sconvolge né turba minimamente lo zelante impegno di Canepa che continua a tenere contatti epistolari con molti dei suoi ragazzi al fronte. Nonostante l’occupazione nazi-fascista di Roma e i bombardamenti alleati che colpiscono anche il quadraro, Canepa non chiude mai l’Oratorio. Costretto dal coprifuoco, fa tenere il catechismo pomeridiano dalle due alle cinque.
Intanto organizza e sostiene finanziariamente la prima raccolta di materiale didattico per gli Oratori e tale opera prende il nome di “Sinite Parvulos”. Gli Oratori, infatti, cominciano a crescere e c’è bisogno di palloni, giochi, sussidi e catechismi. I catechisti possono rifornirsi gratuitamente del materiale necessario. Arnaldo fa stampare alcuni testi tra cui il libretto “La Messa dei fanciulli” in lingua italiana per aiutare i bambini a seguire la celebrazione eucaristica in quegli anni recitata in latino.
Nel 1945 nasce la “Federazione Oratori Romani” che riunisce i catechisti laici e prende poco dopo il nome definitivo di “Centro Oratori Romani” (C.O.R.). Canepa ne è il Presidente, Blasetti il Vice-Presidente e vi partecipano un gruppo di consiglieri provenienti dai circoli dell’azione cattolica o dagli stessi Oratori parrocchiali. Il C.O.R. si assume l’impegno di formare direttamente i catechisti degli Oratori con la collaborazione dei parroci. Nell’estate di quell’anno si tiene a Castelgandolfo il primo incontro estivo per la formazione spirituale e didattica dei catechisti.
Nel 1945 Monsignor Boyer, direttore del nascente ufficio catechistico del Vicariato, è nominato dal Cardinal Vicario assistente ecclesiastico del C.O.R. Gli oratori, nell’anno catechistico 1944-45, sono già ventuno e radunano duemilacinquecento ragazzi, seguiti da oltre cento catechisti.
Canepa si libera di tutte le sue attività offrendone il ricavato al C.O.R. Lascia anche la direzione dell’Oratorio di Santa Maria del Buon Consiglio ad un giovane catechista della parrocchia. Dagli Oratori nascono anche le prime vocazioni e Canepa segue i seminaristi con fitte corrispondenze epistolari.
Arnaldo, rimasto solo, dal momento che anche la sorella Olga è andata a vivere ad Acilia con il marito, si trasferisce in una piccola stanza presso la chiesa dei SS. Patroni in via Circonvallazione Gianicolense, oggi SS. Francesco e Caterina. Vi resterà per i successivi quattordici anni, facendo vita comune con i sacerdoti.

Canepa apre Oratori anche nelle borgate dove nell’immediato dopoguerra essere cristiano è più difficile a causa delle violente contrapposizioni con il comunismo.
Quando viene invitato in qualità di relatore ai convegni di formazione estivi del C.O.R., Canepa non perde occasione per ribadire la fondamentale importanza che l’Oratorio svolge per l’evangelizzazione di “intere masse” di persone: evangelizzare un bambino significa formare una famiglia cristiana. L’Oratorio, secondo Canepa, è per questo fine il mezzo più efficace e potente a disposizione della Chiesa. Per ottenere i frutti sperati ogni Oratorio deve muoversi su “quattro binari”, una metodologia elaborata dal C.O.R. che organizza l’attività dell’Oratorio in festiva, quotidiana, mensile e ricreativa.
Ai catechisti raccomanda la preparazione e, a tal fine, ne sollecita la partecipazione ai convegni formativi: li esorta a cercare la perfezione e a non contentarsi del livello raggiunto. Dinanzi ai problemi si raccoglie in preghiera e invita a fare altrettanto. Soprattutto, chiede fedeltà di ciascuno all’impegno preso in Oratorio al punto da preferire i catechisti presenti e puntuali a quelli che, pur possedendo un alto livello culturale, si dimostrano discontinui. Ritiene, infatti, che sia più la mancanza di convinzione sull’importanza della missione affidatagli il vero ostacolo da superare piuttosto che la mancanza di tempo: la missione del catechista in Oratorio, scrive infatti, non è di insegnare risposte a memoria ma di portare masse intere di ragazzi a Cristo. Per questo ritiene che preghiera, puntualità e perseveranza siano le tre “P” che ogni catechista debba possedere.
Oltre all’intensa attività pomeridiana e domenicale negli Oratori, Arnaldo, nelle mattine della settimana, è nella sede del C.O.R. in via della Pigna, a presiedere l’organizzazione e a firmare le consegne del materiale per gli Oratori. È tanta la sua generosità se c’è da ampliare un cortile, edificare aule per la catechesi, realizzare panche per la Chiesa, distribuire premi e materiale didattico, finanziare la partecipazione dei giovani catechisti ai convegni estivi. È la stessa generosità che lo porta ad aiutare anche singole persone, laici o sacerdoti, ma è attento a non ostentare, facendo risalire tutto ad iniziativa del C.O.R.
Gli utili ricavati dall’attività della “Sinite Parvulos” si mostrano, tuttavia, insufficienti a coprire le necessità degli Oratori. Invita dunque a non spendere se non per gli Oratori e i ragazzi. Constatate le difficoltà cerca con i suoi collaboratori di reperire aiuti finanziari, crea un comitato di benefattori e, con il consenso del Vicariato e l’aiuto di Blasetti, organizza delle questue domenicali in alcune chiese del centro. Con questi aiuti si può offrire la colazione domenicale a tutti i ragazzi degli Oratori e distribuire pacchi premio in occasione della Festa della Riconoscenza, che si tiene per la prima volta al cinema Brancaccio nell’aprile del 1947. Vi partecipano tremila ragazzi in rappresentanza di trentacinque Oratori.
Accanto alla “Sinite parvolous” c’è una sala riunioni dove Canepa ha numerosi colloqui quotidiani con i sacerdoti che a lui confidano le difficoltà che incontrano nell’apostolato. Si confronta e chiede pareri. Sa ascoltare anche i più giovani ed inesperti senza far pesare la sua esperienza. Lì incontra anche direttori degli Oratori e catechisti ai quali ricorda l’obbedienza al Parroco che rimane il solo responsabile davanti a Dio e davanti ai superiori delle anime dei ragazzi. In quei colloqui a tu per tu, dove Canepa stringe la mano dell’interlocutore portandola al petto senza lasciarla facilmente, sacerdoti e laici escono edificati e si ricaricano interiormente.
Considera il C.O.R. opera di Maria e invita il visitatore a terminare con lui l’Ave Maria che sta recitando. Spesso, estraendo la mano di tasca, ha il Rosario avvolto alle dita. Alle dodici, qualsiasi discorso si stia facendo o in qualsiasi posto si trovi, interrompe tutto ed inizia a recitare l’Angelus.

In eterno doppiopetto grigio con gilet e cravatta scura, visita ogni pomeriggio gli Oratori raggiungendo anche quelli più lontani e mal collegati con i mezzi pubblici. Ha contatti diretti con ciascun parroco e direttore di Oratorio. Non si ferma a compiacersi dei risultati raggiunti. Lavora instancabilmente, proiettato sempre verso nuove mete e nuovi obiettivi. Sprona a non “illudersi nella prospettiva di risultati immediati”: sulla base dell’esperienza personale sa bene che solo il tempo porterà i ragazzi ad acquistare familiarità con le persone e con l’ambiente dell’Oratorio.
Tramite il bollettino del Cor dispensa una serie di consigli utili ai catechisti per una migliore partecipazione dei bambini alla S. Messa, per favorire la riuscita dell’Oratorio quotidiano, per tenere la disciplina durante gli incontri di catechismo e per spingere i ragazzi a comportarsi cristianamente anche oltre le mura della parrocchia. Fissa, quindi, i quatto pilastri sui cui si regge l’opera del C.O.R. e il lavoro dei suoi catechisti: amor di Dio, amor del prossimo, devozione mariana e sottomissione all’autorità ecclesiastica. I catechisti che prestano opera nelle altre parrocchie della diocesi, vengono chiamati “catechisti missionari”. Tra loro nascono vocazioni sacerdotali.
Al quadraro continua ad essere di casa. Nonostante i settant’anni continua le catechesi del sabato pomeriggio e presenzia ai giochi. Nelle sere di maggio i bambini sono radunati nel salone accanto ad un’immagine di Maria da loro ornata con fiori, per pregarLa. Per averne in gran numero anche in questo periodo è studiato per tutti gli Oratori il concorso figurine e Canepa pubblicherà il sussidio “Chi è Maria” per favorirne la devozione attraverso le storie dei santi. Prima e dopo ogni incontro continua a far ripetere ai ragazzi due giaculatorie: “Gesù, amico dei fanciulli, benedici i fanciulli di tutto il mondo”, e “Maria, domina nostra, prega per noi”.
A Roma centro, invece, è più difficile il campo di lavoro a causa del boom economico che moltiplica negozi, uffici, ministeri. Alcuni tentativi che vengono fatti per far nascere la realtà dell’Oratorio falliscono. Canepa, tuttavia, è profondamente convinto che anche le croci siano un prezioso dono del Signore. L’unico Oratorio che sopravvive per lungo tempo è quello di Santa Maria in Trastevere che spesso Canepa si reca a visitare tenendo dei corsi per allievi-catechisti.
Tra i ragazzi, è attento a individuare quelli più maturi spiritualmente e moralmente per responsabilizzarli e sensibilizzarli ad una fattiva futura collaborazione nell’ambito dell’Oratorio. Si rende conto, e ciò lo addolora profondamente, che molti ragazzi tra i tredici e i quattordici anni si allontanano dall’Oratorio, proprio nell’età più difficile. Pertanto, d’accordo con i responsabili dell’azione cattolica giovanile, inizia a pensare anche a un Oratorio adatto ai giovani.
La Diocesi spinge anche il C.O.R. ad occuparsi dell’organizzazione di un Oratorio femminile che, dopo vari esperimenti, vedrà la luce solo dopo la morte di Canepa con la creazione del Centro Oratori Romani Femminile per merito di Suor Lorenzina Colosi. Più avanti tale realtà confluirà nuovamente nel C.O.R. e gli Oratori saranno aperti indistintamente a ragazzi e ragazze.
Al C.O.R., il lunedì diventa il giorno di ritrovo dei responsabili, sacerdoti e laici. A volte nascono divergenze e conflitti sul modo migliore di operare nelle attività degli Oratori ma Canepa mostra equilibrio nei pensieri, nel parlare e nell’operare ed è merito suo rendere quelle riunioni costruttive.
Lo sorregge un’intensa vita di preghiera a partire dall’appuntamento giornaliero della S. Messa: persino quando è costretto a letto da qualche malattia, chiede la Comunione in camera. Quotidiana è la recita del S. Rosario di cui conserva sempre in tasca la corona. Lo recita anche spostandosi da un Oratorio all’altro, tanto da misurare le distanze col numero di rosari recitati. A “Maria Domina Nostra” affida ogni iniziativa e si rivolge prima di prendere qualche decisione. Nell’Oratorio che visita, s’inginocchia negli ultimi banchi della chiesa e prega.

Rispetto al centinaio di parrocchie che all’epoca ci sono a Roma, gli Oratori del C.O.R. sono ormai cinquantacinque. In essi operano cinquecentosessanta catechisti per diciottomila ragazzi. Sono realtà vive e in fermento sulla Casilina, Prenestina, Tiburtina, Aurelia, Appia, Ostiense, Flaminia e Salaria. Con i suoi collaboratori Canepa si spinge anche fuori Diocesi a Torlupara, Monterotondo, Poggio Mirteto e in Sabina.
Il 31 dicembre del 1955 ha luogo l’udienza pontificia dei catechisti del C.O.R. con Pio XII in occasione del decimo anniversario di fondazione del C.O.R. Canepa, solo dopo ripetute insistenze, si è comprato un vestito nuovo. E’ una festa e il Papa ha parole di elogio e di incoraggiamento verso l’opera e i catechisti.
“Voi avete inoltre potuto persuadervi” - dirà il Papa in quell’occasione – “che al fine di assicurare all’opera vostra frutti seri e durevoli, è necessario di compierla il più perfettamente possibile”. Canepa ha ben presente l’importanza della formazione spirituale e pastorale dei catechisti. Fin dai primi anni di vita del C.O.R. cura la formazione dei giovanissimi ed elabora un “Corso per allievi-catechisti” la cui prima parte è prettamente vocazionale essendo dedicata ai “novissimi” e piena di utili consigli quali l’importanza di accostarsi con frequenza alla S. Comunione e l’affidamento alla Madonna.
Canepa inizia anche a pensare a un’opera catechistica missionaria che coinvolga sacerdoti e laici per garantire la continuità nel tempo della missione del C.O.R. Ma ormai è stanco e diventa meno attivo finanche nell’attività oratoriana. Nonostante alcuni dissidi interni all’opera è sempre comprensivo con tutti.
Ormai avanti nell’età chiede ospitalità come pensionante alla Clinica di Santa Maria della Fiducia al quartiere Appio-Latino. Gli viene data una piccola stanza di solito riservata ai malati e priva dei servizi. Su un piccolo comò c’è l’immagine di Maria dietro alla quale c’è una foto della madre. A lungo si raccoglie in preghiera quasi in estasi in cappella. Alcune suore lo vedono inginocchiato sempre allo stesso banco a guardare intensamente il Tabernacolo con la corona del Rosario che gli pende dalla mano per raccomandare a Maria i suoi Oratori. Parla col Signore, a voce alta, specie quando crede di essere solo. Accompagna alle parole anche la gestualità. Continua a servire la S. Messa tutti i giorni, anche due volte al giorno.

Di tanto in tanto parla della morte. Lo fa nei colloqui personali, mostrando di guardare al futuro con serenità e tranquillità di spirito, come di chi è pronto all’incontro con il Padre. Mangia pochissimo: una mozzarella, un uovo, una tazza di latte, un pezzetto di pane. Consiglia di risparmiare sul centesimo per gli Oratori. Soffre se vede compiere sprechi.
Alla soglia dell’ottantesimo compleanno, decide di recarsi in pellegrinaggio a Lourdes.
Arnaldo Canepa non lesina fatica e non si lamenta dei malanni dell’età che provocano non pochi dolori. La sofferenza più grande è non poter andare più in Oratorio. Ormai fa fatica ad affrettarsi per prendere un autobus affollatissimo, dopo una giornata di lavoro e tornarsene a casa. Cammina curvo, a piccoli passi e ben presto non potrà spostarsi più in tram. I catechisti lo vanno a prendere in auto in clinica per accompagnarlo a visitare qualche Oratorio lontano.
Arnaldo deve subire un intervento chirurgico. Benché eletto presidente a vita, ha ceduto pubblicamente le redini del C.O.R. a Ugo Blasetti. Si duole però di non poter fare più quanto desidera per i suoi Oratori. In realtà non smetterà fino alla fine di occuparsi attivamente di essi, tenendosi informato di tutto.
Il C.O.R. si è ormai trasferito nei palazzi Lateranensi a San Giovanni e la Sinite Parvulos viene invece ospitata nei sottoscala del Tribunale.
Agli inizi del 1966 è costretto per motivi di salute a chiedere dispensa dalle riunioni dei terziari francescani. Conta ormai ottantaquattro anni e ha un fisico logorato. Non disdegna, se chiamato, la visita a qualche Oratorio come fa a N.S. di Guadalupe e ad ottobre dello stesso anno è al quadraro per partecipare al Consiglio dei catechisti.
Il 2 novembre, le suore si accorgono che non è in camera e non ha nemmeno cenato. Verso le ventidue lo trovano in un bagno della clinica, riverso a terra, in coma. Lo ha colpito un’emorragia cerebrale. Al suo capezzale si riuniscono numerosi prelati, consiglieri del Cor, catechisti e amici. Muore con il volto sereno, quasi sorridente. Le esequie vengono celebrate il 4 novembre, un giorno di abbondante pioggia, nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli, la sua prima Parrocchia. Arnaldo Canepa viene sepolto al Verano nella tomba di famiglia e la salma verrà poi solennemente traslata nel 1989 nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria del Buon Consiglio al Quadraro.
Il 26 Maggio 1993 il Cardinale Vicario, Camillo Ruini pubblica l’editto con il quale dà inizio all'iter per avviare la Causa di Canonizzazione di A. Canepa. Il 26 Febbraio 1994, presso il Seminario Romano, si apre ufficialmente la Causa ed Arnaldo Canepa è proclamato Servo di Dio. Dopo la raccolta di testimonianze e dati biografici ed in seguito ad accurata relazione da parte della Commissione Storica, la fase diocesana del processo si conclude solennemente il 30 Novembre 2001.