Mons. Giacomo Martin
S. Ec. Mons. Giacomo Martin, collaborò per più di 15 anni al Quadraro e a Ponte Milvio; poi fu creato vescovo di Neapoli di Palestina e Prefetto della Casa Pontificia.
Ricordo il mio arrivo al Quadraro all'autunno del 1935.
Ero sacerdote da un anno, parlavo male l'italiano e non avevo ancora alcuna esperienza pastorale.
Il mio "noviziato" in materia lo feci ogni domenica sotto la guida di due maestri, di cui non saprei dire quale mi sia stato di maggior giovamento.
Il primo era il parroco della chiesa della Madonna del Buon Consiglio, il compianto Don Gioacchino Rey; l'altro fu il caro e indimenticabile Commendatore Arnaldo Canepa, che m'impressionò fin dal primo incontro per la dolcezza del suo trattare e per la serenità della sua anima, che si rispecchiava nel suo sguardo e nel suo sorriso.
Il regno del Com. Canepa era il tumultuante stuolo dei ragazzi dell'Oratorio, capaci di far perdere cento volte la pazienza a chiunque, ma non a lui. Non rammento, in quindici anni, di averlo sentito una sola volta alzare la voce.
Da lui ho imparato i "misteri" oratoriani: concorso delle figurine, visita ai presepi nelle famiglie dei nostri bambini ecc... Ho appreso soprattutto quel che la tecnica non insegna e che non s'impara neanche dai libri: come educare, come formare l'anima di un bambino, come modellarla secondo lo spirito cristiano.
Il Comm. Canepa era un educatore nato. Ogni più minuta circostanza era da lui utilizzata a scopo educativo.
Il llbambino era per lui tanto degno di attenzione e di rispetto quanto una persona grande. E di questo i ragazzi si rendevano conto.
Durante il periodo in cui ebbi la fortuna di collaborare con lui al Quadraro, si andò perfezionando sempre più quello che si può chiamare il "metodo oratoriano". Anzi, credo si possa dire che l'Oratorio del Quadraro servi poi di modello per gli Oratori che a poco a poco si insediarono in varie parrocchie della periferia di Roma.
Il diffondersi degli Oratori ebbe per me una conseguenza che ero ben lontano dall'attendermi. Collaboravamo da una quindicina d'anni, quando un bel giorno il Comm. Canepa mi prese in disparte e mi disse: "Senta, Don Giacomo, abbiamo fondato un nuovo Oratorio di là dal Ponte Milvio, a Tor di Quinto. Sarebbe lungo spiegare al sacerdote responsabile della zona (non era ancora parrocchia) la tecnica oratoriana. Ci vada Lei, che già conosce bene i nostri metodi".
Sul momento rimasi naturalmente perplesso. Riflettendo poi, mi convinsi che per l'invito del caro Commendatore la Provvidenza stessa mi apriva un nuovo campo di apostolato. Nonostante i legami che avevo contratto in tanti anni con molte care famiglie, accettai la proposta. Eravamo alla vigilia dell'Anno Santo 1950.
Da quel momento potei rivedere il caro Commendatore soltanto quando il Centro degli Oratori Romani ci convocava in Vicariato per qualche riunione.
Sapemmo poi del "rifugio" dove aveva deciso di finire i suoi giorni: una semplice stanza in un Istituto di Suore. Questo fu per me nuovo motivo di profonda edificazione. In morte come in vita, il Comm. Canepa appariva l'uomo distaccato da tutte le cose di questo mondo. S'incamminava verso la patria del Cielo con la stessa serenità e libertà d'animo di cui aveva dato a tutti noi, lungo tanti anni, prove quotidiane,
Per un sacerdote, l'aver conosciuto e frequentato un'anima di tanta elevatezza è davvero una delle grazie più preziose che egli abbia potuto ricevere da Dio durante l'esercizio del suo ministero,
Mons. Giacomo MARTIN Prefetto della Casa Pontificia